VI cap. –  I  pigmei

 

 

    E la parola, la promessa fatta ai due Gummi dal comandante supremo dell'astronave, tale Giove Rebbe, venne mantenuta.

Si stava così per ripetere la scena dell'atterraggio.

La coppia terrestre venne posta in attesa presso il portello d'ingresso, all'interno di un cerchio tracciato sul pavimento.

 

   - Cos'è secondo te questo, zio Hor !? -

    - Questo cosa? -

   - Il cerchio, questo cerchio in cui ci troviamo. Non sarà per caso una botola, eh!? -

    - Ma cosa stai farneticando... è "evidente" che si sta per ripetere la scena dell'atterraggio. RIPETENDO, ho detto! perciò: niente botole... -

    - Compresa la scena dell’alieno che esce e va a mettere la pietra sotto la grande sfera...? -

    - "RIPETENDO", ho detto!! -

 

    E la botola si aprì, togliendo così all'astronave il disturbo di atterrare.

E i due poveretti caddero da una discreta altezza sulla chioma di un albero fra i vari alberi di una foresta. Questo salvò loro la pelle, ma procurò anche delle leggere ecchimosi e graffietti di pochissimo conto.

 

    - AAAHHHAAGG!! Porcoggioveehee!! -

    - Stai calmo, zio Gummhor! In fondo ci siamo fatti soltanto alcuni graffietti e ... -

    - Zitto! taci! Non è vero niente!! Ho invece uno squarcio enorme, proprio qui, sulla pancia! e poi, e poi credo di essermi rotto una gamba... -

 

    Gumbluk osservava tristemente Hor, il cacciatore ineffabile delle praterie, ridotto a un cencio umano, piagnucolante, e ne rimase impressionato. Cosa doveva fare adesso? Doveva consolarlo? Doveva massaggiargli la gamba? O piuttosto volgergli le spalle e abbandonarlo lì? O magari ucciderlo per non farlo soffrire più?

Gumbluk rivolse questi quesiti allo zio, che si riprese quasi miracolosamente:

 

    - Uccid...!? Ehi, ma sei impazzito!? -

 

    - Sì zio! cerca di capire: non potrei mai lasciarti solo, qui, in una radura sconosciuta. Finiresti mangiato vivo da qualche belva, o dalle formiche. Credimi, è l'unica soluzione, è per te, è solo per il tuo bene, per non farti soffrire... -  

      - Ah! e sentiamo: come ammazzeresti il tuo unico zio? in quale modo, eh!? -

 

A Gumbluk si gonfiarono allora gli occhi di lacrime.

Con la voce bassa, rotta dall'emozione, rispose al parente, mentre due conigli, un cerbiatto, tre scoiattoli ed alcuni uccellini appollaiati sui rami ascoltavano e guardavano curiosi la scena. 

 

    - Chi, io, ucciderti!? Non ne sarei capace! non potrei mai. Però posso procurarti una selce acuminata con cui potresti tagliarti la gola da solo... credimi, è l'unica soluzione, ridotto come sei! -

    - Calmo! vedi? mi ero sbagliato: la gamba non è più rotta, eualà! Ho soltanto una leggerissima slogatura alla caviglia -.

     - E il taglio sulla pancia!? -

    - Taglio? Ma quale taglio!? Ah, questo "graffietto", intendi... ecco qui: con il ditino rimetto a posto il budellino nel pancino... ed ora, disinfettiamo, e poi si riparte -.

    - Ecco zio: io sono pronto, ne avevo giusto bisogno! -

  - Eh!? Ma che fai,  che hai fatto!? Sei impazzito!  Rimetti subito a  posto quell'arnese,  sporcaccione! ma  che volevi   fare!? -

    - Non si disinfetta con l'orina? -

    - Orina!? Tu   volevi  pisciarmi  addosso! A me!?  Al tuo unico zio? - 

    - Ecco: mi avevano detto... -

  - Queste cose lasciale dire e fare ai muratori crockti! Tu ora fai quello che ti dico io: devi cercare alcune foglie di una pianta che cresce sui funghi che a loro volta crescono sugli alberi. Non puoi sbagliare, le foglie sono quadrate con una croce rossa al centro, vai! -

    - ...pianta sul fungo, sull'albero,... vado!! Però, carina questa radura, gli animaletti che ti fanno compagnia... già, e poi tu disteso, che sembri, sembri quel personaggio delle favole, come si chiama, aiutami a ricordare! -  

 

    Il pianto improvviso, dirotto e sconsolato di Gummhor consigliò il ragazzo a incamminarsi risolutamente, e senza più porre tempo in mezzo, mantenendo così insoddisfatta una curiosità peraltro futile, considerando bene la situazione tragica in cui si trovava in quel momento il suo povero zio. A questi non rimaneva altro da fare ormai che stringere i denti, e attendere con fiducia il ritorno salvifico di Gumbluk. 

 

    - Maledetto! mi vuole uccidere, mi vuole... devo fuggire, ora che non c'è, devo andare via, devo allontanarmi da qui, il più presto possibile!! -

 

    Purtroppo per Gummhor, la gamba, anche se non rotta, non poteva consentirgli di alzarsi e camminare liberamente. Cosicché l'uruko si mise a strisciare per terra come un serpente bastonato, e buon per lui che il nipote tornò presto, altrimenti lo sforzo aggiunto alla ferita gli avrebbe certamente causato un dissanguamento veloce e letale.

 

    - Zio Hor! hai visto? sono tornato subito! invece di cercare le foglie, me ne sono fatto dare un po' da certi pigmei che abitano in una casetta qui dietro, gentili no!? pensa che... ma zio Hor!? che fai!? -

    - No! no Bluk, ti prego... per ciò che ci lega... per il bene che ti voglio! non mi uccidereeheee!! - e scoppiò in un pianto disperato e supplichevole.  

    - Ma zio Hor! Io scherzavo... -

    - Eh!?? -

    - Ecco... credevo che tu mi volessi tirare una fregatura, tutto qui! Intendo dire che... pensavo che tu magari volessi in realtà solo farti portare sulla schiena dal sottoscritto. Che la storia della tua gamba rotta fosse tutta una storia, una fandonia, appunto -.

    - Che imbecillità! Ma ti sei visto? Ti sei guardato? Come pensi che una persona  possa  stare comodo su una schiena come la tua, eh!? –

 

    Così dicendo Gummhor osservò meglio il profilo del nipote, come per verificare qualcosa che a riguardo sembrava improvvisamente contraddirlo, dopodiché fece con voce tanto smorzata nei toni quanto al contempo sorpresa:

 

    - ...è...è...è  quasi  dritta! La schiena, intendo. Sì, insomma, sei anche più alto, sicuramente... lo vedi? era tutta colpa di Zeula e della nicchia in cui ti faceva dormire, avevo ragione io, per tutti gli uri agonizzanti divorati dalla scabbia bubbonica! avevo ragione!! -

    - Burp! Sì, sì, che schifo... ora però pensiamo a curarti, eh!? -

    - Bè!? Che c’è!? non sei contento? ho forse detto qualcosa

che non va? –

 

Per tutta risposta Gumbluk porse allo zio le foglie medicamentose richieste, come a voler sottolineare ciò che a lui sembrava, in quel frangente, prioritario rispetto a qualsiasi altra faccenda.

Hor prese le foglie dalle mani del nipote. Le guardò, le contò, poi disse: - Benissimo. Prima però, serve ancora una cosa... -

    - Uh!? che serve? dimm... -

    - Lì! alla tua sinistra. Vedi quella pianta a forma di labbra gonfie? -

    - Certo, la vedo, è orrenda... -

    - E' una pianta  carnivora, ed ha lungo le  labbra tanti minuscoli aghi che si intersecano fra loro. Staccala dal gambo e stai attento a non farti mordere. Poi avvicinati e dirigila verso la ferita, prima che la pianta muoia. La labbrona morderà, poi pian piano  morirà, ma  intanto mi  avrà  chiuso  egregiamente la ferita -.     

    - Accidenti!! e poi? -   

    - Poi metteremo sopra la ferita le foglie medicamentose...- 

 

    L'operazione venne eseguita coscienziosamente ed egregiamente da Gumbluk. Lo zio Hor fece appena in tempo a sorridere alla fine dell'intervento, quindi chiuse serenamente gli occhi.

 

    - Ehi! - sbottò Gumbluk, inviperito - e tutto questo lavoro!? non potevi morire prima!? ehi! dico a te! non facciamo scherzi! o mammagumma! zio Hor! zio HOOOHHORRRR!!!? rispondimi, ti prego... no, non lasciarmi solo! -

 

    In preda allo sconforto, Gumbluk cominciò a singhiozzare sul petto del parente. E fu così che poté tirare un sospiro di sollievo, sentendo battere il cuore di Gummhor.

 

    - Ma senti che roba! questo caprone sta proprio ronfando. E comunque, ridotto com'è, chissà quando potremo incamminarci di nuovo... -

 

    Gumbluk ristette così un po' di tempo nella radura silenziosa. Rifletteva sul da farsi, osservato sempre dai vari animaletti del bosco, finché un lampo di genio non lo colse all'improvviso:

 

    - I pigmei!! e perché no? ci piazziamo lì e buonanotte! però, come convincerli? vediamo: avranno sicuramente bisogno di un cacciatore come lo zio Hor... e così, in cambio dell'ospitalità, quando lo zio sarà guarito potremmo ricompensarli, organizzando qualche spedizione di caccia... -

 

    Convinto della bontà dei suoi pensieri, Gumbluk si incamminò così con decisione verso il villaggio dei pigmei. Questi non erano né mamelumi, né crockti. Erano pigmei, appunto.

La stessa famigliola della tribù che gentilmente aveva offerto a Gumbluk le foglie medicamentose, si adoperò anche per aiutare immediatamente il ragazzo uruko, tornando insieme a lui nella vicina radura dove ancora giaceva esanime Gummhor, e trasportando quindi il povero ferito fin dentro la loro capanna.

 

    Il villaggio dei pigmei era pittoresco e vivacissimo, brulicante di individui impegnati nelle proprie attività quotidiane artigianali e domestiche.

Come due grandi semicerchi, la foresta e un costone roccioso circondavano e occultavano il tutto.

Le abitazioni avevano tre differenti tipologie: la prima, sul terreno, corrispondeva a una tipica capanna di legno, circolare, o a più capanne unite fra loro; la seconda si sviluppava sui rami degli alberi, e la terza nelle caverne della parete rocciosa.

Un ruscello scorreva discreto in mezzo al tutto, mentre alcune capre e galline dell'epoca giravano liberamente nei pressi delle capanne.

   

    Il nucleo familiare dei pigmei che ospitavano i due Gummi era composto da quindici individui: padre e madre, su per giù dell'età di Hor; due ragazzi, un maschio e una femmina, coetanei di Gumbluk; una bimba sui quattro anni; quattro capre e sei galline.

L'abitazione della simpatica famigliola era costituita da tre capanne contigue, ossia: capanna ingresso-soggiorno-tinello, capanna da letto-uomini, e capanna da letto-bestie.

 

    - Voi potrete stare nella capanna con le capre e le galline, dove abbiamo messo già tuo zio. Di spazio ce n'è abbastanza! - esordì il capofamiglia sorridendo con soddisfazione verso Gumbluk.

L'uruko cercò di contenere un'istintiva smorfia di disgusto; quindi reputò saggio ringraziare comunque diplomaticamente il papà pigmeo, che proseguì:

 

    - Potrete mangiare insieme alle capre... -

 

    Questo era troppo per Gumbluk, che infatti reagì protestando immediatamente a modo suo: - Alt! una domanda: quando alla fine saremo ingrassati abbastanza, ci squarterete insieme alle capre o ci tirerete il collo come alle galline? Ci farete allo spiedo, o magari al tegame? e le uova? le dobbiamo fare? gradirei una risposta, grazie -.

 

    Mamma pigmea rise fragorosamente a quelle parole dell’uruko, e con una tonalità così bassa e cavernosa che fece sobbalzare e quasi impaurì Gumbluk. La donna voleva in verità tranquillizzare il giovane ospite, e infatti cercò di giustificare il marito:

 

    - Devi perdonare Giraffo Schiacciato! lui a volte non si esprime bene... è un modo di dire: "mangiare quando mangiano le capre" o "mangiare insieme alla capre" per noi significa mangiare "quando ci pare e piace"! capisci!? -

 

    - Ehmmm... sono mortificato... Giraffo: spero che tu mi voglia perdonare -.

    - Stai tranquillo, figliolo. Non preoccuparti! io ti capisco: sei preoccupato per tuo zio, ma non devi aver paura. Qui da noi lui si rimetterà presto, oppure morirà, che problema c'è? non c'è problema, non c'è problema... domattina, quando si sveglierà, SE si sveglierà, lo mungeremo e assaggeremo il suo latte - .

 

    - Papà! finiscila di parlare in questo modo! lui non può capirti - interruppe la ragazza.

    - E perché mai!? - protestò Giraffo Schiacciato - Che c'è... è forse differente da noi!? -

    - No, infatti - Gumbluk cercava di rasserenare nuovamente l'ambiente - io... io ti ho capito, ho capito benissimo! è come un saluto! E perciò anch'io, anch'io domattina mi sveglierò e poi verrò a mungerti, Giraffo caro, e a bere il tuo latte! -

    - Eh!? a chi? a me? -

    - Certamente! a te, e poi a tua moglie, e poi a tua figlia, e poi.. bhè!? perché mi guardate così!? -

 

    Calò un silenzio pesantissimo. La signora aveva fatto subito un passo indietro, proteggendosi il seno con le mani. Quindi gli sguardi severissimi e schifati di tutti i componenti la famiglia pigmea si rivolsero verso Gumbluk.

La ragazza, rossa in volto come un peperone, guardò la madre, come in attesa di istruzioni. E subito, a un cenno di questa, prese per mano la sorellina e si ritirò a testa bassa nella capanna da letto-uomini.

 

    - Ehi! chi mai ti credi d'essere!? - si fece avanti il secondo uomo di casa - se vuoi mungere mia sorella devi prima sposarla! E poi sta lontano da mia madre... ed anche da me, ed anche... - il padre lo interruppe:

    - NESSUNO aveva mai osato propormi di mungermi!! -

    - Lo so papà! però... stavo parlando io, no!? lasciami finire il discorso!! -

    - INSOMMMA!! perché VOI potete mungere mio zio Gummhor e IO non posso mungere voi!? eh!? perché? -

    - Ah! ma allora c'è un equivoco...- scoprì mamma pigmea - eh! mi pareva strano, un ragazzo così ammodo. Non poteva essere! vedi, come ti chiami...? -

    - Gumbluk... Bluk dei Gummi Uruki Mamelumi! -

    - Vedi, Gumbluk - continuò la signora - il fatto è che quella frase lì si può dire solo agli ammalati, altrimenti prende tutto un altro significato, capisci? -

    - Capisco che sarà difficile convivere - fece con aria sconsolata Bluk, guardandosi meglio intorno. Poi, rivolto nuovamente ai tre pigmei rimasti di fronte a lui, proseguì:

 

    - Comunque, visto che a quanto pare avete accettato di ospitarci, a me e mio zio, forse è anche giunto il momento di presentarci. Io, come ho già detto, mi chiamo Gumbluk, ma potete chiamarmi semplicemente Bluk... -

    - Ed io Pertica Rotta - sorrise la padrona di casa. Si voltò quindi verso il figlio, che taceva.

 

    - Bè!? avanti, dì a Bluk come ti chiami -.

    - Io... - il figlio di Giraffo guardò con imbarazzo il padre e la madre, mentre anche Gumbluk lo invitava: - Avanti! o forse non vuoi che io conosca il tuo nome!? -

    - No, no! Io, certo, sì, per te... gioverebbe... -

    - Eh!? Giove Rebbe!? ehi! basta con questa storia! Non ne posso più! mi sono stufato!! e poi che sarebbe? bada che rischi grosso a fare certe affermazioni!! Impostore sacrilego, blasfemo, eccet... e così via!! avanti, dimmi come ti chiami veramente, e facciamola finita!! -

 

    - Mi vergogno... -

 

    A queste ultime parole Giraffo Schiacciato reagì strattonando violentemente il ragazzo. L'uomo si sentiva offeso dal figlio, e cominciò a inveirgli contro:

 

    - Ehi!? Come osi dire questo!? IO ti ho imposto quel nome, e TU non puoi vergognartene! Hai capito? Non puoi!! Ce l'hai e te lo tieni! -

 

A queste ultime parole il ragazzo reagì, e strattonò violentemente Giraffo, cominciando a inveirgli contro:

 

    - Come oso!? TU mi hai imposto quel nome, e IO me ne vergogno! Posso eccome!! Te lo ridò e te lo tieni! Mettitelo tu, visto che ti piace tanto! -

 

    - Io non capisco, - fece Giraffo rivolgendosi a Gumbluk, come a voler essere confortato da questi - non capisco cosa abbia di brutto il suo nome: Palo Moscio... -

    - Ah! Palo Moscio! bel nome... pfff... hi hì!... ehmmm -.

    - Ti ho visto! stai ridendo!! - si lagnò immediatamente il giovane Palo Moscio.

    - Chi... io? - si schermì Bluk - no, no, è un malinteso... dalle mie parti infatti, quando si dice il nome di qualcuno, la risata acquista un significato di particolare apprezzamento... sembra strano, ma è così! veramente... Anzi, poiché mi verrebbe sicuramente spontaneo "apprezzare" il tuo nome ogni volta che dovessi pronunciarlo... preferirei storpiarlo amichevolmente un po', e chiamarti semplicemente "Pascio", se non ti dispiace... -

 

    - Uhmmm, Palo Moscio... "Pascio". Sì, mi piace, suona bene, puoi chiamarmi così! Anzi, lo dirò anche ai miei amici di chiamarmi Pascio, d'ora in poi. Mi prenderanno un po' in giro ogni volta che qualcuno si ritirerà da una mano di Poker, ma non fa nulla... - 

 

    Gumbluk aveva così iniziato la sua permanenza nel villaggio dei pigmei risolvendo brillantemente un problema delicatissimo (il nome di Palo Moscio).

 

    Oltretutto la faccenda divenne in breve di dominio pubblico, al punto che, una settimana dopo, nel giorno stabilito per la presentazione dei due Gummi al re dei pigmei, il monarca non poté fare a meno di complimentarsi con Bluk per la fama di saggezza che oramai accompagnava fortemente il giovane Uruko.

E proprio grazie a tutto questo Gumbluk non fu più conosciuto  come "il nipote di GUMMHOR degli uri"; bensì fu Hor a essere noto tutt'al più come "lo zio malaticcio del dotto GUMBLUK".

 

    Ma, al contempo, era anche avvenuto un fatto straordinario: nel giustificare il suo riso di fronte a Palo Moscio, Gumbluk aveva commesso nuovamente qualcosa che, per la sua natura di uruko mamelumo, non avrebbe mai potuto fare... Bluk aveva mentito! e lo aveva fatto così, con una "non chalanche" tipica soltanto dei Crockti!

Gumbluk non se ne era accorto neanche questa volta, ma la notte stessa si era poi svegliato di soprassalto a causa di ciò, dando una testata tremenda a una delle capre che, invece di dormire, s'era posta sulla quattro zampe ritta, di fronte alla testa dell'uomo disteso, fissando con ostilità l'intruso.

Lanciato un lamento neanche troppo convinto, a causa della sorpresa, la bestia tornò al suo cantuccio, mentre Gumbluk, dopo un'imprecazione e un massaggio volante alla testa, si approssimava al capezzale dello zio che, supino, borbottava sommessamente, per via della febbre che gli era sopravvenuta.

 

    Quasi come se non si accorgesse del rantolare di Gummhor, Bluk riportò allo zio il colloquio avuto in precedenza con la famiglia pigmea, fino al punto tragico e sconcertante, quello della "bugia" detta a Palo Moscio.

 

    - E’ perché sei un mu... mutante... - fece Gummhor, immobile e con gli occhi chiusi, con un filo di voce, e fra uno spasimo e l'altro.

    - Come dici, zio? parla un po' più forte... ah! ho capito: no zio, non mi sono spogliato... non sono in mutande. Su, rispondimi, dimmi qualcosa, consigliami! - insistette Gumbluk, toccando il capo del parente ferito - Accidenti! senti come scotta, questo qui sta delirando! -

 

    Gummhor sbarrò improvvisamente gli occhi, guardando fisso di fronte a sé, come fosse in preda a delle allucinazioni. E seguitò: - La PROFEZIA! il Discepolo, il Discepolo chiede al Maestro... -

   

     - Basta!! Non voglio! Non voglio più sentire questa storia! E poi è una faccenda ormai chiusa, perché come sai... -

    - ... "oh Maestro, oh Maestro, dimmi... si moltiplicheranno mai i Mamelumi? i bravi e onesti Mamelumi che dicono sempre la verità? -

    - Oh mammagumma! questo delira proprio forte! ehmm...sì! certamente zietto, ora però dormi, stai buono. Ascolta. E il maestro disse: "i Mamelumi cresceranno, cresceranno e si moltiplicheranno, tutti quanti...” -

   - NO!! MORIRANNO tutti quanti! così rispose il Maestro!! BASTARDO!! Maestro bastardo, lui e quel crockto di discepolo! bastardi tutti e due!! -

 

    - Sssshh... zio! delira a bassa voce, o svegli tutto il villaggio, ssshhh! -

 

    Gummhor si calmò per alcuni minuti, chiudendo gli occhi ed emettendo un borbottio lamentoso, mentre il nipote proseguiva la nottata litigando con la capra che nel frattempo si era impadronita del suo giaciglio.

 

    - Moriranno tutti quanti... - riprese Gummhor, con un filo di voce. Gumbluk si avvicinò nuovamente al letto del ferito, per domandare, incuriosito e un po' anche preoccupato:

    - Ehi, zio, psss... zio! Chi è che deve morire!? -  

    - Te l'ho detto... i Mamelumi, tutti... moriranno, perché... perché... -

       - Perché? -

    - Perché i figli sono sempre di meno... i Mamelumi si estingueranno, perché, perché... -

    - Perché? -

    - Perché ce l'hanno piccolo... -

    - Eh!? Che cosa hanno piccolo? Cosa!? -

 

  - ... solo “uno” farà continuare il seme mamelumo, ma in un'altra razza. Così dice la profezia... BASTARDO!! lui... e il discepolo! -

    - Ssshh... zio, ti prego, altrimenti i pigmei domattina ci cacceranno via. Tu moriresti in breve tempo... ma io? io, che farei mai !? -

    - Il mutante. Il mutante dice le bugie, ma ce l'ha anche grosso...  "farà  proseguire  la razza in un'altra razza", così dice... -

    - ... la profezia, bastardo il maestro e il discepolo - continuò con ostentata insofferenza Gumbluk - lo so, lo so. Uhmm, s'è riaddormentato, era ora. Delirio o no, quando questo comincia a chiacchierare... dunque, dov'ero rimasto? ah sì! la capra! avanti, scendi giù! -

 

    Per tutta risposta, la bestia cornuta si voltò di fianco, verso la parete della capanna.

Gumbluk si avvicinò, osservando la parte del giaciglio che la capra aveva liberato con il suo movimento. Poi mormorò, esausto:

 

    - E va bene, tutti e due... ma solo per questa notte! -

 

 

                    *               *                *